Il dissacrante svincolo del matrimonio

Pubblicato il 21 agosto 2025 alle ore 21:23

“La persona giusta ti completa, non ti complica.”
– David Wells

Ma allora perché così tante persone scelgono di complicarsi la vita con la persona sbagliata? Domanda legittima, anche se un po’ urticante per chi ha appena firmato un mutuo in due, adottato un cane e deciso di farsi una frangetta post-rottura. Perché oggi, diciamocelo, il matrimonio non è più l’apice di un sogno romantico, ma spesso l’inizio di una guerra fredda domestica che nemmeno la NATO riuscirebbe a negoziare. Benvenuti nel dissacrante svincolo del matrimonio, il luogo dove le promesse eterne incontrano la dura legge del “meglio soli che male accompagnati”. C’erano una volta due cuori, due fedi, e un sacerdote che li univa in nome dell’amore eterno. Oggi ci sono due profili Tinder, due carriere stressanti e un algoritmo che suggerisce “potresti essere compatibile con Luisa, 45 anni, ama le piante e odia il disordine”. Il matrimonio è passato da rito sacro a compromesso logico, e poi ancora più giù, a “idea vaga che vedremo più avanti”. Nella società dell’autorealizzazione e della libertà individuale, sposarsi è diventato quasi alternativo. Come portare i calzini spaiati per scelta o comprare vinili senza avere un giradischi. E allora succede che, invece di scegliere di unire i propri destini, si preferisce lasciarli a briglia sciolta, come due cavalli selvaggi che ogni tanto si leccano il muso, ma poi corrono in direzioni opposte. Facciamoci una domanda onesta: chi ci ha detto che la persona giusta debba farci sentire come in un film con Hugh Grant e i temporali romantici? Spesso, la persona giusta è quella che ti ascolta quando parli di emorroidi, che ti porta il caffè senza zucchero anche se ama il dolce, che non ha bisogno di spiegazioni per capire quando hai bisogno di silenzio. Eppure quanti di noi scelgono, consapevolmente o meno, la persona sbagliata? C’è qualcosa di irresistibile in chi ci complica la vita. Sarà che l’amore sano ci sembra noioso, o che ci hanno convinti che senza drammi non è vero amore. Ma la verità è che troppe coppie si ritrovano a convivere con una persona che non avrebbero mai voluto come coinquilina, figurarsi come partner per la vita. La narrazione dell’anima gemella ha mietuto più vittime emotive di una telenovela sudamericana. Siamo cresciuti con l’idea che da qualche parte ci sia “la nostra metà”. Metà di cosa, poi? E se io fossi un triangolo scaleno, chi diavolo è la mia metà? La verità è che siamo già interi. E la persona giusta, se arriva, dovrebbe arricchirci, non riempire un vuoto. Oggi si ha sempre più bisogno di relazioni che lascino spazio, che non invadano, che accompagnino senza inglobare. Ma c’è ancora chi confonde la fusione con l’unione e si ritrova a cercare aria dopo pochi mesi di convivenza. L’amore, quello vero, sa convivere anche con una porta chiusa ogni tanto. C’è qualcosa di profondamente ironico in tutto questo: il matrimonio, che per secoli è stato simbolo di vincolo, oggi è visto come il contrario della libertà. Eppure, in origine, doveva essere proprio una promessa di libertà insieme. Non dalla libertà, ma nella libertà. Oggi ci si sposa meno, si divorzia di più, e si convive per un po’. I nuovi patti sentimentali sembrano versioni beta di un’app in aggiornamento continuo: “vediamo come va”, “magari poi ci pensiamo”, “ti amo, ma devo partire per il Nepal a ritrovare me stesso”. Il che non è sbagliato. È solo il segno che vogliamo relazioni autentiche, non copioni da recitare. Ma c’è un prezzo da pagare: la vulnerabilità del non sapere mai cosa succederà. Il matrimonio non è più una garanzia. È, forse, un atto di coraggio. Una delle cose più difficili da ammettere è che spesso la persona sbagliata che abbiamo scelto ci rispecchiava. O almeno, rispecchiava chi eravamo in quel momento. Poi si cresce, si cambia, si leggono due libri di psicologia e si scopre che forse volevamo solo un abbraccio, non un partner ipercritico che corregge la grammatica anche nei bigliettini d’amore. Così ci si separa. Ma la separazione non è sempre una sconfitta. A volte è l’unico modo per tornare a respirare, a riconoscersi. E magari, un giorno, scegliere di nuovo. Con più consapevolezza. O con meno illusioni. Forse oggi non si ha più paura del matrimonio. Si ha paura dell’intimità vera, quella che ti costringe a toglierti la maschera, ad ammettere che non sei perfetto, che sei fragile. E questo, per molti, è molto più spaventoso di un “sì” all’altare o dovunque si celebri un matrimonio. Ridere delle proprie esperienze amorose è una forma di evoluzione. Perché se non puoi raccontare la tua ex che parlava con i cristalli o il tuo ex che non separava mai i calzini in lavatrice, allora vuol dire che non hai ancora superato niente. L’ironia è la nostra arma più potente. E anche il nostro balsamo. Ci permette di vedere la vita a colori anche quando ci sembra grigia come una discussione sul divano alle due di notte. Il matrimonio, oggi, non è finito. È cambiato. Non è più obbligatorio, ma può essere una scelta. Non è più una gabbia, se lo si vive da adulti consapevoli. Non è un fallimento se non funziona, ma può diventare un’opportunità per conoscere meglio se stessi. E, nel dubbio, meglio una sana solitudine che una convivenza con chi non ti fa ridere, non ti stimola, non ti sostiene. Perché in fondo, l’amore, se di amore si tratta, non è trovare qualcuno con cui stare, ma qualcuno con cui valga la pena essere.